Lavoro e Salute Mentale

Eccoci giunti ad un nuovo articolo del mio blog! Come avevo promesso sono tornata a scrivere.

Siamo agli inizi di agosto, ma fuori c’è un tempo già quasi autunnale e, mentre oggi spulciavo qua e là notizie sul web, mi è venuto in mente di scrivere alcune riflessioni circa il rapporto fra lavoro e salute mentale. La mia attività lavorativa principale è quella di insegnante (la mia esperienza di lavoro riguarda la scuola secondaria di primo grado e di secondo grado, sia su sostegno che su materia), ma tutti sanno che durante l’anno porto avanti comunque altri progetti paralleli che vanno dalla scrittura, al giornalismo e alla formazione in ambito pedagogico e socio – sanitario. E devo dire che non è semplice gestire un carico così pesante a livello lavorativo e di studio essendo portatrice di una malattia mentale. Non sto ad entrare nel dettaglio della mia diagnosi, ma posso dire di avere passato parecchi anni prima di iniziare a lavorare in cui la malattia era stata davvero invalidante. Tuttavia, so di avere un carattere molto orgoglioso e ho fatto di tutto per impegnarmi nello studio e nel lavoro nonostante le mie difficoltà e la mia patologia, perché penso sinceramente che il lavoro possa migliorare il rapporto fra persona e tessuto sociale, anche come occasione di miglioramento della propria salute mentale. Acquisire conoscenze da mettere poi in pratica come competenze sociali, relazionali e lavorative mi ha permesso di intraprendere un percorso di crescita personale di cui prima non ne ero a conoscenza. Il fatto è che dobbiamo renderci conto che a volte non sia sufficiente prendere una pastiglia per placare l’ansia o la depressione, ma bisogna intervenire a livello psicologico con l’aiuto della parola, plasmando alcuni comportamenti disfunzionali. La pratica delle cose quotidiane in questo passaggio gioca un ruolo cruciale. Ma sebbene il lavoro da una parte possa essere strumento di riabilitazione, dall’altra un carico eccessivo delle mansioni lavorative, con orari spesso critici ed un carico familiare non indifferente, possono portare al burn-out. Forse vi sembrerà che io sia stata troppo franca con le mie parole, ma penso che oggi come oggi il tema della salute mentale (anche in ambito lavorativo) sia più attuale che mai. Per non parlare della scuola dove assistiamo spesso a comportamenti problema che manifestano il disagio giovanile delle nuove generazioni. Anche i ragazzi possono andare in burn-out per lo stress psicologico che subiscono a scuola: loro sono in età evolutiva, in pieno sviluppo fisico e psicologico, e quindi rispondere sempre alle richieste del mondo della scuola, con ritmi serrati e quant’altro può essere difficoltoso da gestire; per questo sono sempre più d’accordo che serva l’intervento dello psicologo a scuola sia per studenti che per insegnanti. La società ci invita ed essere sempre più resilienti, ma davvero questa resilienza finirà con l’esserci salutare? Che impatto avrà a lungo termine sul nostro fisico e sulla nostra psiche? Noi, che viviamo costantemente connessi, come in perenne gara con noi stessi, riusciremo a lungo andare a reggere a questo sistema? Penso siano queste le domande che dobbiamo porci nel terzo millennio, in una società che sta andando sempre più verso l’intelligenza artificiale, che ruolo avremo noi in relazione alle macchine? Saremo sostituiti al primo burn-out?

A voi la risposta.